#SpazioTalk, Roberto Reverberi (DS Bardiani): “L’invito al Giro credo sia anche il riconoscimento di quello che abbiamo dato al ciclismo in tanti anni e della serietà del lavoro che facciamo”

Anche quest’anno, la VF Group-Bardiani CSF-Faizanè è riuscita a guadagnarsi la WildCard per partecipare al Giro d’Italia. Per la 42a volta nella sua lunga storia, la formazione italiana sarà quindi al via della Corsa Rosa, dove in passato non sono mancate le vittorie, e c’è ovviamente soddisfazione da parte di Roberto Reverberi per questo invito. Con il team manager e direttore sportivo della squadra abbiamo dunque parlato di questa nuova partecipazione, con il discorso che si è poi allargato anche al progetto del team e, più in generale, a un’analisi del lavoro con i giovani nel ciclismo attuale. Un estratto di questa intervista può essere ascoltato anche nella puntata del podcast SpazioTalk.

Quest’anno, per la 42esima volta, sarete al via del Giro d’Italia.
Non essendoci mai la certezza matematica di fare il Giro sono molto contento, perché ci sono squadre che hanno già il diritto di farlo, e non sto parlando delle WorldTour ma delle altre due Professional, e allora gli spazi si riducono e ovviamente c’è sempre un po’ di apprensione. Però, se andiamo a guardare un elenco di merito dell’anno scorso è che siamo arrivati davanti a tutte queste squadre qua nella classifica mondiale delle Professional, per cui credo che qualcosina di buono abbiamo fatto. Abbiamo vinto una quindicina di corse, sesti a pochi punti dalla Q36.5 nella classifica mondiale, abbiamo fatto 3500 punti e da qualche parte li abbiamo fatti, e non fatti soltanto da un corridore o due, ma dal complesso della squadra.

Tra l’altro, ottenete l’invito e avete ottenuto tutti questi risultati con una squadra giovanissima, la media è 23-24 anni. Questo credo sia un ulteriore plauso a vostro favore.
Certamente, abbiamo delle belle realtà in squadra. Magari adesso si sta parlando di Pellizzari, ma abbiamo dei giovani interessanti, i dati li abbiamo e vediamo cosa sono capaci di fare. C’è una base di 4-5 corridori abbastanza esperti come Zoccarato e Fiorelli, e comunque dei giovani che sono interessanti che, come abbiamo fatto in passato, qualcosa possono sempre far vedere. Abbiamo l’esempio di Ciccone, di Colbrelli, di Pozzovivo, ma ne abbiamo tantissimi, un elenco infinito. Noi qualcosa al ciclismo l’abbiamo sempre dato in tanti anni e credo che l’organizzatore riconosca anche questo, oltre alla serietà del lavoro che facciamo.

E come si gestisce una squadra che ha solo due corridori dai 30 anni in su?
Adesso lavoriamo con molto più metodo rispetto a prima, abbiamo un buono staff medico e di preparatori, stiamo lavorando bene facendo diversi ritiri, anche in altura, in preparazione del Giro. Con i giovani si lavora bene perché non sono sprovveduti, nel senso che sanno bene quello che devono fare e comunque quando hanno una guida di una certa esperienza le cose si possono fondere assieme e ottenere dei bei risultati. Se ascoltano e hanno i mezzi – e credo che li abbiano – per poter far bene, si può ottenere qualcosa di buono.

Il vostro, peraltro, è un progetto spiccatamente italiano, forse quello più italiano, l’unico corridore straniero è Rojas che è arrivato quest’anno.
Al di là della nazionalità dei corridori, questa è l’unica squadra completamente italiana, società di gestione italiana e affiliazione italiana.

E questo per il nostro movimento, che non ha squadre WorldTour e che sta un po’ faticando a tenere anche le Professional, è fondamentale.
Sì, ma alla fine sento sempre anche ex campioni che nelle dichiarazioni dicono che manca una squadra WorldTour, ma la squadra WorldTour non è fondamentale perché, se guardi, i corridori buoni sono cresciuti quasi tutti inizialmente in squadre Professional, a parte gli ultimi fenomeni che sono usciti fuori a 18-19 anni. Ma gli altri, specialmente gli italiani che sono cresciuti gradualmente, sono venuti su con la squadra di Savio, con noi e con le squadre Professional, così come anche all’estero. Mica tutti sono campioni a 18-19 anni. Per cui gli si dà lo spazio anche se non c’è la squadra WorldTour, di corse buone ne facciamo e ne facciamo tante. Uno intanto deve iniziare a vincere le corse un po’ di minore importanza e poi da lì lo si porta a fare le corse WorldTour, si vede dove può arrivare e poi, una volta che il corridore ha una certa considerazione dopo due, tre, quattro anni, viene preso da una squadra WorldTour e magari con i gradi di capitano. Guarda quanti corridori italiani si sono persi, e ce ne sono tanti in squadre WorldTour, che erano buoni dilettanti, ma buoni buoni, e si sono persi in squadre WorldTour perché devono tirare dalla mattina alla sera. Poi un giorno ti lasciano lo spazio e magari non ne hai più per fare la corsa. I corridori italiani che ci sono in gruppo e che sono diventati dei buoni corridori sono venuti fuori da squadre minori, però sono andati via quando è stato il momento. Due, tre, quattro anni di gavetta e poi cominciano a correre in squadre WorldTour con una certa considerazione, con una squadra a disposizione. Ma io ne vedo diversi che si sono persi, addirittura corridori che avevano vinto i Mondiali da Under-23, sono là a tirare e basta, ma uno a tirare fa in tempo anche a 27-28 anni. Se io fossi un corridore giovane, prima vado in una squadra Professional, dove mi fanno fare la corsa, perché se uno ha voglia di farsi vedere, si fa vedere anche in una squadra Professional, non c’è mica solo la squadra WorldTour. Anche se io facessi una squadra WorldTour in Italia chi vado a prendere? Per forza devi prendere un po’ di italiani e un po’ di stranieri, ma la squadra, comunque, deve lavorare in una certa maniera perché hai un calendario talmente impegnativo che non puoi permetterti di dare spazio a tutti quanti, a tutti gli italiani. Sì, puoi dargli un pochino di spazio, come fa la Trek, ad esempio, che ha tanti italiani, ma se devi fare Giro, Tour, Vuelta e tutte le classiche diventa talmente impegnativo che, spesso e volentieri, ti tocca anche andare a tirare. Qui facciamo doppia attività: chi va bene fa le gare importanti, ha spazio, nessuno li va a fermare quando sono in fuga, spesso hanno la squadra a disposizione quando uno è in condizione. Poi, quando sarà l’ora, vai giustamente per la tua strada, non abbiamo un budget elevato per poterli trattenere per cui è anche giusto che facciano la loro carriera. Ma devi andarci quando sei pronto in quelle squadre lì, altrimenti ti sfruttano soltanto.

A questo proposito, come si protegge un corridore, come ad esempio Pellizzari, che magari arriva al professionismo in un ambiente come quello italiano, in cui si aspetta con smania il nuovo talento nelle corse di tre settimane? Come si protegge dalla pressione e anche dal fatto che il ragazzo vuole risultati subito e si sente un po’, non dico in obbligo, ma volenteroso di ottenere quei risultati?
Sì, in Italia c’è una tale fame di campioncini che per forza, anche quello che dà due pedalate in più, è sotto la lente dei media, c’è questa voglia di avere un corridore importante. Non bisogna però mettergli pressione perché, come dicevo prima, mica tutti quanti sono campioni a 19 o a 20 anni. Allora bisogna dargli tempo, non mettergli tanta pressione anche perché, a 20 anni, non tutti reagiscono alla stessa maniera. Magari prima di una corsa importante non dormono per tutta la notte, quando uno sa di avere addosso la pressione dei media. Molto probabilmente, vedendo uno come Pellizzari, lo porteremo al Giro se andrà bene, ma senza dargli troppe responsabilità di classifica. Noi cerchiamo sempre di tenerli con i piedi per terra perché ci vuole un po’ di tempo. Infatti devi usare un po’ il bastone e la carota, perché anche quando vanno, ad esempio, a fare le gare internazionali Under-23 e magari le vincono – e già è qualcosa di importante – poi gli fai fare le gare importanti, la Tirreno, il Giro, per farli rendere conto anche di cos’è il vero ciclismo. Allora lì vedono realmente quanto è duro il ciclismo e quanto devono lavorare per arrivare a quel livello. C’è chi ci arriva prima e chi ci arriva dopo, però almeno si rendono conto di quanto devono lavorare per arrivarci. Poi, per un motivo o per un altro, i giovani si possono anche perdere, ci sono tante variabili. Chiaramente bisogna tenerli su una linea dritta e insegnargli quello che è il sacrificio, quello che bisogna fare per diventare dei campioni. Poi, se lo diventano, meglio per il ciclismo italiano e per tutti quanti.

E il lavoro di una squadra Professional è anche un po’ questo.
Sì, noi non diamo l’assillo a nessuno. È evidente che uno giovane, di 20 anni, va in una squadra WorldTour e tutti si aspettano chissà che cosa, e ha una grande pressione intorno, perché magari anche sotto l’aspetto economico ha una responsabilità diversa. Noi non gli diamo una grossa pressione, chiaramente chiediamo serietà e professionalità, però senza pressione, e tutto quello che viene è buono. Poi, un pochino alla volta, lo si catapulta nel ciclismo vero.

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